Raul Montanari


Il tempo dell'innocenza



Dalle note di copertina

Milano, maggio 1986. Damiano è un adolescente distratto, come tanti, la cui vita cambia all'improvviso quando Ivan, compagno carismatico e cinico nono stante l'età, lo coinvolge in uno scherzo ai danni di Ermanno, l'amico debole, che vive solo con la madre Regine e due inquietanti servitori. Uno scherzo che avrà un esito terribile.
2011. Damiano è un quarantenne che vive di lezioni private. La sua è un'esistenza che si svolge nella penombra, fuori da ogni socialità. Passare inosservato ed essere dimenticato sembra essere il suo scopo. Ma nascondersi per sempre non è possibile. Ermanno, che non si era più riavuto dall'episodio dell'86, si spara. Per vendicarlo Regine, donna dalle relazioni potenti e pericolose, chiede a Damiano di uccidere Ivan. In cambio gli promette qualcosa che lui non può rifiutare. Lo scambio sarà una vita per una vita.

"E adesso dio mi aiuti, se c'è un dio. Perché io sono stanco di essere colpevole ed è arrivato il tempo di essere innocente, se sarà possibile."






Giudizi critici

"Una storia mozzafiato" (Valeria Parrella, "Grazia")

"Certamente qui non ci sono detective in crisi esistenziale né orribili omicidi su cui arrovellarsi, ma piuttosto persone normali che si muovono in situazioni eccezionali, e con emozioni del tutto comuni. Ma aldilà dei generi, spesso scorciatoie anche piuttosto pigre, intanto queste pagine si leggono avidamente come una favola - senz'altro nera, anzi nerissima - e anche come un romanzo di formazione, seppure segnato da un destino luttuoso" (Luciana Sica, "Repubblica")

"E' una storia appassionante, di quelle che tengono col fiato sospeso, ma è allo stesso tempo una lucida incursione nei territori proibiti della coscienza umana, laddove i contorni di concetti come morale, giustizia, colpa, assumono sfumature di difficile definizione. Ancora una volta, il valore aggiunto, nei romanzi di Montanari, è costituito dai suoi personaggi, uomini e donne "reali", quantomai distanti da ogni possibile caratterizzazione stereotipata propria della narrativa di genere" (Romano De Marco, "Thriller Magazine" e "Writers Magazine Italia").

"Davvero avvincente. Perfetto per chi sa quanto sia atroce essere costretti ad andare contro la propria natura" (Chiara Beretta Mazzotta, Radio 105).

"Anche in quest'ultimo romanzo, di tensione, di attrezzatura per tenere avvinto il lettore ce ne sono davvero a profusione" (Vincenzo Guercio, "L'Eco di Bergamo").

"Un autore del quale è un piacere ritrovare qui la forza intensa e viva delle pagine migliori; cinquanta sfumature, e più, di quel noir esistenziale al quale ci ha viziosamente abituati" (Rita Guidi, "La gazzetta di Parma").

"Montanari scrive un nuovo post-noir: un bel romanzo dove la suspense è importante quanto l'amicizia, la tenerezza, la fratellanza, il sesso" (Piersandro Pallavicini, "La Stampa - TTL").

"Una vicenda in cui tornano elementi tipici della narrazione di Montanari: il riaffacciarsi di remoti tragici fatti che materializzano gli incubi di una vita; un Io che vive la vertigine propria di chi sta per essere preso in un vortice e vive sul crinale col rischio di precipitare nella voragine. la presenza del Male sia nella colpevole incoscienza di farlo (Ivan) sia come coscienza che va frantumandosi nel doverlo commettere (Damiano)" (Ermanno Paccagnini, "Corriere della Sera").

"I prati della periferia Nord milanese fra Niguarda e la Comasina diventano uno spazio in bilico fra i boschi di Tom Sawyer e i segreti di Stand By Me. Giallo e romanzo di formazione, serviti da un perfetto meccanismo a orologeria. Comprimari degni di un film dei fratelli Coen" (Erica Arosio, "Gioia").







Visto da me

Penso che questo romanzo sia la perfetta rappresentazione di quello che chiamo post-noir, forse più ancora dei due precedenti, che hanno fissato il concetto. Damiano è una persona qualunque; forse è addirittura qualcosa meno di una persona qualunque. E' un uomo che ha subito un danno in gioventù e che da allora, come nella parabola evangelica, ha preferito nascondere i suoi talenti sotto terra invece di farli fruttare. Per questo è facile identificarsi in lui, e per questo è ancora più impressionante ritrovarlo in una situazione narrativa fortissima: quella di ricevere l'ordine di compiere un omicidio, e di avere un motivo enormemente importante per non potersi permettere di dire semplicemente no.
La narrativa ha sempre a che fare con qualcosa di eccezionale. La narrativa di genere sposta di solito questa eccezionalità nei personaggi (detective, serial killer.) o nell'ambiente (basta pensare al fantasy, alla fantascienza, alla narrativa di viaggio). L'alternativa è prendere persone normalissime, che vivono su sfondi quotidiani che non hanno niente di particolare, e metterle appunto in una condizione eccezionale. A quel punto tutte le emozioni che i personaggi condividono con i lettori vengono amplificate, sono come proiettate su uno schermo più grande, dove possiamo vederle più facilmente, riconoscerle, appassionarci. Tutti abbiamo paura, ma la paura di Damiano è una paura eccezionale; tutti proviamo il rammarico per gli errori compiuti in passato e il dubbio davanti a una scelta che ci attende per il futuro, ma il rammarico e il dubbio di Damiano sono immensi, perché in passato lui ha rovinato la vita di un amico e in futuro gli viene chiesto di sopprimere la vita di un altro amico.
Una delle cose che mi piacciono di questa storia sono le corrispondenze fra i due momenti decisivi della vita di Damiano e i due incidenti nucleari di Chernobyl e Fukushima, che diventano metafore evidenti, ma spero non banali, del fatto che proprio quando ti illudi di poter tenere le cose sotto controllo avviene qualcosa che fa saltare tutti i piani. Nell'86 Damiano era un ragazzo come tanti altri, ma quello che accade lo scaraventa in una dimensione impensata. Allo stesso modo, nell'86 ci eravamo illusi di aver addomesticato l'energia nucleare piegandola a fini civili; le avevamo ricostruito una verginità, lasciando che sbiadissero i terribili ricordi di Hiroshima e Nagasaki, ma l'incidente ha rotto questo equilibrio. E venticinque anni dopo, proprio mentre si spezza di nuovo il patto fra l'umanità e il nucleare, anche l'ipnosi che Damiano ha imposto alla propria vita subisce il più drammatico risveglio.





La prima pagina

Apro gli occhi nell'aria nera e all'improvviso il mio respiro è così vicino, così forte, che lo trattengo per un attimo, perché mi spaventa. Poi lo lascio andare piano. Stavo sognando.
Abitavo con mia madre in una casa sconosciuta. Lei era ancora giovane. Seduta davanti a me, indicava una porta chiusa contro la quale qualcuno bussava. "Non lo so" dicevo io. Lei continuava a indicare la porta. "Non lo so", ripetevo. Forse stavo rispondendo a una domanda? "Io non lo so." Allora mia madre si alzava dalla tavola apparecchiata, che vedevo solo ora. Con un gesto brusco, senza volerlo, faceva cadere il suo bicchiere. Il vino si spargeva sulla tovaglia, più nero che rosso, e il danno mi sembrava tremendo, senza rimedio. Mia madre mi girava le spalle e andava alla porta, appoggiava la mano sulla maniglia. "Mamma, non aprire!" gridavo io, e nel gridare sono scivolato in un buio grigiastro, imperfetto, e mi sono svegliato.
Così ora ho gli occhi aperti e sono nel mio letto, a pancia insù, con un cuscino dietro la testa e l'altro appoggiato di traverso sullo stomaco. Ah, dio. Non è la prima volta che faccio questo sogno.
Tutti i pensieri del giorno mi attraversano, come animali che si risvegliano insieme a me. Prima mia sorella in ospedale, che adesso dormirà... almeno spero. Poi Adriana. Il corpo di Adriana così amato, la sua risata.
Che ore saranno? Allungo una mano e cerco la sveglia sul comodino. Il quadrante si illumina: quasi mezzanotte. Sospiro e cambio posizione. E' presto. Eppure mi sento pesante, schiacciato dentro questo materasso troppo molle. Ah, già - il tavor. Il mondo mi investe a folate, come un vento freddo, e adesso ricordo la scena di poche ore fa: la faccia terrorizzata del tassista, le mie parole minacciose, poi la crisi di panico e la compressa che mi sono cacciato sotto la lingua per bloccarla. Per questo sono andato a dormire presto, stasera. Ero così intontito dal sedativo che già alle undici non riuscivo più a tenere gli occhi aperti.
Prendo un gran respiro e abbraccio il secondo cuscino. Lo premo contro il petto come un innamorato e lo avvolgo con le gambe. No, non mi alzo. Non voglio andare in bagno o a bere un bicchiere d'acqua, altrimenti poi non mi riaddormento più. Serro le palpebre e frugo dentro di me, cercando il sonno come un oggetto perduto in fondo a un sacco. Trovo la posizione perfetta, la più confortante, e piego le ginocchia.
Poi sento quel rumore in cucina, e di colpo sono certo di averlo già udito poco fa. E' stato questo a svegliarmi, non il sogno.
Spalanco gli occhi e mi rendo conto solo ora che da sotto la porta della camera filtra un po' di luce.
C'è qualcuno in casa!